Una vacanza un po’ più lunga del classico weekend lungo, offre la possibilità di vedere una partita “come si deve”. L’occasione è ghiotta: West Ham United contro Sheffield United, Irons contro Blades, secondo turno di Coppa di Lega, o come la chiamano ora “Capital One Cup”. Turno unico dentro o fuori, con facilità di trovare i biglietti, a prezzi ragionevoli, e partita segnata da una rivalità intensificata negli ultimi anni.
Eh si perché da qualche anno, una semplice partita tra due clubs storici del calcio inglese, è diventata una sfida ad alta tensione: su West Ham-Sheffield Utd aleggia il fantasma di Carlos Tevez, emblema della salvezza degli Irons del 2007, che arrivò grazie ai gol dell’argentino. Lo Sheffield United, retrocesse all’ultima giornata proprio in virtù del gol-salvezza di Tevez all’Old Trafford. Furono però riscontrate pesanti irregolarità amministrative nel trasferimento dell’argentino al West Ham. Lo Sheffield chiedeva una penalizzazione per i londinesi che avrebbe comportato la retrocessione e la conseguente salvezza per i Blades, e invece una commissione della Football Association stabilì “solo” un pesantissimo indennizzo da 25 milioni di sterline che il West Ham dovette versare nella casse dello Sheffield. La ferita è ancora aperta, lo Sheffield non si è più affacciato al palcoscenico della Premier e ora milita addirittura in Football League One, la nostra Lega Pro.
Alcune difficoltà nell’acquisto del biglietto via internet, mi portano a telefonare al ticket office. A quanto dice la gentilissima operatrice, secondo disponibilità sarà possibile acquistare i biglietti direttamente allo stadio senza problemi. Proprio come in Italia.
Allora da Southwark, dove dormiamo, Jubilee line fino a West Ham. Cambio sulla Hammersmith & City, due fermate e si arriva ad Upton Park. Le frecce con l’indicazione “West Ham United FC” già sulla fermata della metro, rendono inequivocabile la strada da seguire per lo stadio. Tempo totale dal letto dell’albergo allo stadio: 20 minuti. Proprio come in Italia.
Per arrivare al Boleyn Ground bisogna camminare circa 500 metri, tra banchetti che vendono materiale non ufficiale e cimeli più o meno originali, e chioschetti che vendono cibi etnici di qualsiasi tipo (“Oh East London is like Bangal, is like the backstreets of New Dehli” cantano quelli del Millwall, e vagli a dar torto…). Ai lati della strada fast food, negozi (chiusi) di elettronica a bassissimo costo gestiti da indiani, e qualche negozio (anch’esso chiuso) difficilmente identificabile.
Vorrei fare un giro attorno allo stadio ma sono già le 19:20. Manca meno di mezz’ora all’inizio della partita. All’arrivo una fila impressionante, lunghissima, e ordinata. Sono quelli che hanno il biglietto acquistato via internet e devono ritirarlo. Saranno almeno 5.000 persone. L’umanità fuori è assolutamente varia. Qualche faccia brutta che ne avrà viste di tutti i colori, ragazzi giovani che vivono col mito di “Green Street Hooligans” e che avranno addosso dai 500 ai 1000 pounds di abbigliamento, poi molti giapponesi e spagnoli, che probabilmente pensano di fare una cosa pericolosissima venendo lì, e tante famiglie: alcune più tradizionali, come ce ne sono qui da noi, ma esteticamente più presentabili, altre con papà, magari tatuato fino al collo, e bambino piccolo in braccio o per mano con la maglia rigorosamente ufficiale addosso.
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Fortunatamente uno steward ci dice che se paghiamo in contanti, si può entrare direttamente mettendosi in fila a uno degli ingressi. L’indicazione mi sembra strana e sono convinto di essere in fila ad un botteghino e di aver capito male: invece è proprio così. Scegliamo un lower stand, per respirare più da vicino l’aria del campo, e andiamo nella curva dove sono anche i tifosi ospiti, opposta alla Bobby Moore Stand. Si fa una breve fila, si arriva al tornello, si danno 15£, prezzo uguale per tutto lo stadio (10 bambini e over 65, le donne pagano uguale), e mentre l’addetto apre il tornello, ti dà il biglietto. Pochi passi e ti ritrovi nella pancia dello stadio. Nessun documento controllato, nessuno steward a perquisire, nessun poliziotto se non qualcuno a cavallo nel piazzale antistante. I pochi che ci sono, sono gentili e professionalissimi. Proprio come in Italia.
Nel frattempo la partita è iniziata: da fuori sentiamo “I’m forever blowing bubbles”, non troppo possente, anche perché metà degli spettatori è ancora in fila fuori. Ordinatamente. Ma dannatamente e noiosamente in fila. Il corridoio che porta agli spalti è forse l’unica parte che ha conservato la struttura dei vecchi stadi inglesi: essenziale, quasi romantico, sembrerebbe fatto in legno per le curatissime rifiniture claret&blue dei muri.
L’ingresso, lo ammetto, è emozionante. Non ero mai stato qui, e vedere i colori del campo così vicini è assolutamente impagabile. Un’esperienza imperdibile per chiunque ami il calcio. Nulla di paragonabile con stadi come Reggio Emilia o Parma, o Vicenza, o lo stesso San Siro. Stadi – si – con gli spalti vicini al campo, ma privi anche del 10% del fascino di un campo del genere: nessuna recinzione, nessuna barriera, pochissimi metri tra il proprio posto e la linea di porta.
Mentre entriamo uno steward ci vede stranieri e ci indica la strada per il nostro posto dicendoci di occupare i posti sul biglietto. Non sappiamo se vengono effettivamente rispettati ma quando vediamo i nostri posti occupati, sapendo quanto mi darebbe fastidio se qualcuno lo facesse a casa mia, non ci mettiamo certo a questionare. Scegliamo i primi posti liberi che troviamo, a metà dell’anello inferiore, esattamente nell’ultimo posto prima dei tifosi ospiti. Non potevo sperare in una visuale migliore. Ospiti a pochi metri, linea di fondo campo praticamente davanti agli occhi, nel bel mezzo degli insulti tra le due fazioni.
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Definire imbarazzante lo “spettacolo” in campo, sarebbe riduttivo: molte seconde linee da una parte e dall’altra (siamo pur sempre ad inizio stagione, e i soldi del campionato contano più del fascino della Coppa di Lega), ma questo mi permette di focalizzare l’attenzione sul contorno, analizzando ogni minima cosa mi passi sotto gli occhi.
Nessuna barriera dentro lo stadio tra tifosi ospiti e tifosi di casa. Unica separazione, un telo largo non più di 5mt che va dalla prima all’ultima fila, con lo stemma del West Ham e il gioco di parole “We are MOORE than a Football Club” e, solo dal lato dei Blades, 6/7 poliziotti disposti in fila. Qualche steward e altri poliziotti disposti ai boccaporti, ma nulla di più. In compenso, il sistema di Cctv penso possa scovare i punti neri sui visi degli spettatori meglio di un’estetista cinese.
In virtù della tensione di questo match la polizia ha concesso ai tifosi ospiti solo 1.000 biglietti, invece dei soliti 3.500, riservando ai Blades solo uno spicchio e non tutto l’anello inferiore del Trevor Brooking Stand. La situazione però sembra ampiamente tranquilla: solo qualche insulto particolarmente triviale alle ragazze di Sheffield che, numerose, occupano il settore ospiti. Qualcuna in particolare “si ingarella” e dal settore dei West Ham parte una ridda di insulti sessisti, pesanti ma abbastanza innocui che vanno dallo “shut up blondie!” a un crudele “she’s got chlamydia” cantato sulle note di “La donna è mobile”. Le ragazze prese di mira sembrano più divertite e lusingate di cotanta attenzione e al massimo rispondono con qualche gestaccio provocatorio o con qualche risata. Peraltro, prima che ogni situazione possa degenerare, dal settore ospiti si avvicina un poliziotto (dall’alito pesantissimo, una cosa mai vista) che viene a dire al gruppetto più esagitato (non vi immaginate hooligans eh, solo un gruppetto di 7/8 cazzoni un po’ disadattati) “State diventando offensivi, cercate di moderare il linguaggio”. Il poliziotto verrà abbastanza preso di mira dalle prese in giro del gruppetto.
Il tifo è abbastanza blando: i cori partono in maniera spontanea da ogni zona del settore ma pochissimi prendono potenza. Non abbiamo percezioni di cori particolarmente possenti nemmeno dalla Bobby Moore Stand. L’unico settore dove si tifa con un po’ più di continuità, è quello della tribuna alla nostra sinistra (una Tevere, usando come riferimento l’Olimpico di Roma), nello spicchio vicino al settore ospiti. In qualche fase pare di sentire anche il suono di un tamburo. Ma anche lì, nulla di eccezionale.
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Nel nostro settore continuano le scaramucce vocali con gli ospiti e man mano che allargo lo sguardo, mi rendo conto che dal lato dei West Ham non c’è una donna nemmeno a pagarla oro. Solo maschi. Ragazzini e famiglie sono solo nella parte immediatamente dietro la porta. Osservando i Blades, invece, si vede che vengono da una realtà diversa. Il settore ha una composizione assolutamente eterogenea: i ragazzi tra i 17 e 27 anni sono raggruppati in piccole crew di 10/15 persone l’una, in cui fanno bella mostra tutte le marche della scena hooligan di questi anni. Osservando un gruppetto mi sono divertito a leggerne i marchi e si vedevano distintamente: qualche giacca Millemiglia CP Company, Paceful Hooligan come se non ci fosse un domani, Stone Island di ogni tipo, Lacoste, Ellesse, Adidas originals, Fila Vintage. Della serie: non ci facciamo mancare nulla. Però moltissimi anche i signori pacifici con figli al seguito, e le coppiette che spesso seguivano questo clichè: lui a guardare la partita mangiato dalla tensione, lei a insultarsi divertita con i tifosi avversari. Poco dopo l’inizio, un ragazzo sui 22 anni vestito di tutto punto, viene allontanato dagli spalti e portato chissà dove da due poliziotti, accompagnato da due suoi amici. Il tutto tra gli sberleffi del pubblico londinese e le risposte divertite del tifoso dello Sheffield colpevole di non so cosa che regalava agli Irons applausi ironici ed inchini sussiegosi.
La partita entra nel vivo e il West Ham passa in vantaggio con un gol di Sakho (non Mamadou, quello del Liverpool). Il pubblico intona di nuovo “I’m Forever Blowing Bubbles” mentre vengono sparate in aria da vari settori migliaia di bolle di sapone che invadono il cielo nuvoloso sopra Upton Park.
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Da una parte e dall’altra qualche lancio di bottiglie di birra di plastica (vuote), e qualche monetina. A quel punto il poliziotto dall’alito più pesante di tutta East London si riavvicina al gruppetto di disadattati e chiede “siete voi che state tirando le monetine?”. La risposta del più burlone del gruppo è “noi non abbiamo monetine, solo banconote. Noi lavoriamo, mica come loro!” indicando quelli di Sheffield. Già, perché l’altro argomento preferito di insulto dei londinesi ai blades è quello sulla mancanza di lavoro: non a caso, il film “Full Monty” è girato proprio a Sheffield. Molti i cori che ironizzano sulla loro situazione economica, da “you’ll never work again” invece di “you’ll never walk alone”, fino a uno che praticamente diceva che se volevano, potevano lavorare al massimo come marinai (che poi a Sheffield il mare non c’è, ma tant’è).
Eppure, come spesso accade, il settore ospiti è più carico dei tifosi di casa: il loro tifo nonostante lo svantaggio è più articolato e continuo e più volte ripetono un coro di cui capivo solo “everywhere we go, there’s an aggro”. D’altronde per loro questa è una delle poche occasioni di affacciarsi su palcoscenici più prestigiosi e confrontarsi con tifoserie più toste. E poi c’è quella retrocessione da vendicare. A proposito, parecchi tifosi del West Ham vestono la maschera di Carlos Tevez, e qua e là, spunta più di una bandiera argentina con impressi i martelli incrociati.
Nell’intervallo vengono riproposte le azioni salienti del primo tempo, vengono proiettati sui maxischermi un po’ di tweet dei tifosi, vengono pubblicizzati gli abbonamenti per “la penultima stagione ad Upton Park” (a partire da 400£ per le gare rimanenti di Premier), e all’ingresso delle squadre viene ri-cantato “I’m Forever Blowing Bubbles” con le bolle sparate in cielo. Nulla di trascendentale: l’atmosfera non è delle più calde.
La partita nel secondo tempo scorre via più piacevolmente: il West Ham prova a controllare, ma lo Sheffield ci inizia a credere e in più di un’occasione sfiora il pareggio. I tifosi del West Ham, un po’ annoiati, un po’ sicuri che prima o poi la superiorità tecnica degli Irons farà la differenza, sono praticamente in silenzio. Dall’altro lato del telone, i Blades spingono la loro squadra con sempre maggiore convinzione: e il pareggio arriva su un goffo intervento di Reid che fa autogol. Il settore ospiti esplode, altre monetine, stessa scena di prima, stessa domanda, e stessa risposta. Da quel momento il poliziotto si piazza vicino a noi e inizia a fissare il gruppetto come se dovesse mangiarli da un momento all’altro, incurante di tutte le prese in giro.
Il West Ham si sveglia e prova ad attaccare, inserendo anche qualche “pezzo da novanta”, come l’ex laziale Mauro Zarate, nuovo acquisto e idolo locale: l’argentino, come spesso gli capitava anche nella lazio, ne smarca uno, ne smarca due, e il terzo lo ferma senza grossi problemi. Nigel Clough, allenatore dello Sheffield e figlio del più famoso Brian Clough (quello de “Il Maledetto United”, per i pochi che non lo sapessero) si copre e riparte in contropiede. Anzi, nel finale e nei supplementari è proprio lo Sheffield a sfiorare la vittoria, ma si va ai rigori.
Decidiamo di cambiare posto posizionandoci in seconda fila. Dei rigori, ovviamente, non me ne può fregar di meno, ma visti da lì riescono ad essere emozionanti. Si sente non solo il rumore del tiro, ma qualsiasi rumore provenga dal campo: dalle grida dei compagni a centrocampo che incitano il portiere, dal pallone che entra in rete, a quello dei guanti che sfiorano la palla nel tentativo di deviarne la traiettoria. Sensazione bellissima sentirsi catapultati all’interno della partita.
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Ora l’età media è decisamente più bassa: bambini con le mamme, e ragazzini di non più di 16 anni che cercano in tutti i modi di distrarre il tiratore avversario, anche spogliandosi. Ma non basta: i Blades segnano tutti e 5 i calci di rigore, mentre per il West Ham Valencia, non quello conosciuto del Man Utd ma un onesto scarparo ecuadoregno, sbaglia il quarto rigore. Il vecchio portiere finlandese del West Ham Jaskaalainen non trattiene il quinto rigore dello Sheffield tirato da chissà chi, e spiana ai Blades la strada per il terzo turno, nel quale torneranno nei sobborghi di Londra per affrontare il Leyton Orient. Il settore ospiti esplode di nuovo in una gioia incontenibile: i giocatori vanno a raccogliere l’abbraccio dei tifosi con una gioia sfrenata ma molto spontanea, molto lontana dalle celebrazioni un po’ artefatte delle squadre dello star system.
Ma non è decisamente tempo di stare a guardare: i tifosi del West Ham sfollano alla spicciolata. La partita è finita molto più tardi del previsto e la metro tra non molto chiude. E’ il caso di avviarsi velocemente verso l’uscita per non restare intrappolati in una fila interminabile per tornare verso il centro. Anche fuori atmosfera tranquillissima, sorvegliata con grande discrezione dalle forze dell’ordine, pronte a saltar fuori in massa in caso di problemi. Fortunatamente il nostro settore è il più vicino alla metro Upton Park, e con pochi minuti siamo già sulla banchina, pronti a tornare verso il centro.
Che dire? Un’emozione bellissima varcare la soglia di un Upton Park pieno, una di quelle cose da fare una volta nella vita, soprattutto prima che gli Irons vengano trasferiti nel freddo e moderno Olympic Stadium di Stratford, pochi km più a nord, verso Stansted. Un altro mondo rispetto all’Italia, nel bene e nel male.
Atmosfera certamente più rilassata e per certi aspetti serena e meno cupa di quella che si respira negli stadi italiani, ma molto più fredda e meno coinvolgente. Un approccio delle forze dell’ordine assolutamente cortese e non invasivo se non fai nulla, ma molto ruvido ed invadente verso i comportamenti anche solo lontanamente potenzialmente pericolosi. Mi fa ridere immaginare un celerino rivolgersi in perfetto italiano ad un tifoso impegnato ad insultarsi con gli avversari che gli dice “dovresti moderare il linguaggio, stai diventando offensivo”. Mi fa ridere sia il celerino, sia immaginare l’eventuale risposta.
Nemmeno paragonabile la qualità del servizio offerto, dalla comodità dello stadio, alla visuale, all’accessibilità con i mezzi pubblici, ma questo, probabilmente, lo sapevamo. Mondi differenti ed imparagonabili, che i responsabili italiani delle forze dell’ordine non mancano di citare senza alcuna cognizione di causa portandone come esempio solo gli aspetti puramente e biecamente repressivi.
In una frase “il modello inglese, solo per il cazzo che ve pare”.