Saverio Arona è uno di quei calciatori che a un certo punto ha mollato l’Italia e ci ha provato in Inghilterra. E’ partito con poco e ha coltivato il suo sogno. E’ cominciato tutto nella periferia ovest di Londra, su un campo fra i più verdi di tutta la capitale. North Greenford United, Burgess Hill Town e Camberley. E il rimpianto di essere tornato in Italia troppo presto.
Partiamo dall’inizio. Quando hai deciso, e perché, di andare in UK a giocare?
Giocare in UK è stato da sempre il mio sogno perché ho sempre amato la Gran Bretagna e non solo per il mondo calcistico. Ero sempre tentano di partire. La spinta me l’ha data un mio compagno di squadra, Giuseppe Sanso, col quale giocavamo a Rosarno in Serie D. Voleva fare la stessa esperienza, quindi ci siamo organizzati e nel luglio seguente siamo partiti senza una meta, solo con il piccolo appoggio di un mio vecchio amico che abitava nella parte ovest di Londra.
In che ruolo giochi? E di che anni stiamo parlando?
Sono difensore centrale, ma lì mi hanno fatto giocare terzino destro e sinistro per via dell’altezza. Una cosa che non ho mai condiviso. Eravamo nel 2010.
E come avete fatto ad “agganciare” una squadra?
La prima squadra l’abbiamo “agganciata” perché questo ragazzo abitava in zona Greenford e siamo andati ad allenarci con loro, ma con le riserve perché non ci conoscevano. Eravamo in 25 che stavamo provando, cercando di formare la nuova squadra riserve.
Parli del North Greenford United?
Sì. Proprio loro.
Ok. Poi da lì che è successo? Vi hanno preso?
Poi siamo andati a fare un’amichevole il giovedì, lì vicino. E subito ci siamo messi in mostra segnando tutti e due. E così il manager ci ha convocato per il sabato per giocare con la prima squadra.
Tutto pronto. Si parte per la nuova avventura. Ma improvvisamente arriva la grande occasione.
Intanto avevamo conosciuto una grande persona, un inglese che ci ha portato prima al Camberley Town e poi al Burgess Hill. Infatti quel sabato avevamo anche una amichevole con il Camberley a Reading contro una squadre di cui non ricordo il nome. A quel punto abbiamo deciso di andare a provare con il Camberley, che era allenato da Darren Barnand, ex nazionale gallese, e anche lì abbiamo fatto bene. Infine questo nostro amico ci ha portato al Burgess Hill Town. Dove abbiamo firmato subito perché era nella Ryman e ci davano un rimborso. Da Camberley continuavano a cercarci, e per convincerci ci hanno offerto anche l’alloggio.
Perfetto siamo arrivati a Burgess Hill. Com’è stato il campionato di non-league?
Eravamo in lotta per i play-off, mi ricordo il mio esordio fuori casa in FA Cup contro la Metropolitan Police, che poi vinse il campionato. Perdemmo 2-1. Quella presenza in FA Cup la porterò con me per tutta la vita.
Come livello a cosa potresti paragonarlo in Italia?
Il livello è buono ma molto differente dall’Italia, sotto ogni punto di vista. Non c’è tatticismo, non si pranza insieme prima della gara, non si fanno ritiri. Comunque è affascinante lo stesso, perché una volta finita la partita finisce tutto là e dopo si va a fare il terzo tempo nel pub: una cosa spettacolare.
La squadra era molto seguita?
Sì, era molto seguita, anche fuori casa. E i tifosi si erano molto affezionati a noi.
La partita più indimenticabile…
Indimenticabile quella di FA Cup, perché, a livello personale, è stata sempre la mia coppa preferita.
Quanto sei rimasto al Burgess Hill?
Fino a gennaio poi i soldi mi hanno fatto ritornare in Italia perché ero abituato a campare con il calcio. In Inghilterra ci pagavano poco perché era il primo anno e non ci conoscevano. Non abbiamo avuto pazienza. Comunque sei tornassi indietro, non ritornerei in Italia.
Dove vivevi?
Ho abitato tre mesi a London, Greenford, un mese a Hassocks, Sussex (dove ho fatto anche il cuoco in un ristorante inglese) e infine a Crawley.
Un consiglio per chi vuole provarci?
Fatelo. Là è tutto completamente diverso dal nostro calcio dilettantistico. E’ stata un’esperienza spettacolare. Io sono partito con una valigia e davamo cv alle squadre per farci provare. Spero che un giorno in futuro tornerò a giocare “il vero calcio”.