Sono curioso di vedere l’impianto della Metropolitan Police. A differenza di molte altre squadre viste fin ora, è la prima che potremmo definire “non di quartiere”.
Poi è facile immaginarsi che con il particolare lavoro che contraddistingue la squadra, non sia una delle più amate di Londra.
Qualche tempo fa parlando con un amico, mi raccontava che effettivamente la Met Police Football Club vive una situazione molto particolare. Innanzitutto ha pochissimo seguito, nonostante l’impianto si trovi in un parco e spesso, quando il tempo è più gradevole, le famiglie a passeggio approfittano per veder tirare due calci al pallone. Altra caratteristica davvero particolare è la mancanza sia di uno shop, che di un club di tifosi organizzati. La gran parte dei giocatori sono agenti di polizia e questo certamente rende la squadra unica, come unico diventa il suo rapporto con le altre squadre e con i propri supporter.
La bacheca dei trofei dei Mets è un po’ scarna e si riduce ad una sola coppa, la London Senior Cup, vinta nel 2010 ai rigori ai danni dell’Afc Wimbledon, con un 5-3 dopo l’incredibile 4-4 dei tempi regolamentari.
Attraversiamo due ponticelli su altrettanti canali d’acqua, siamo in una zona assolutamente residenziale, senza negozi. C’è una scuola con i ragazzi tutti vestiti uguali, poi sulla destra si apre un parcheggio piuttosto grande e, proprio accanto all’entrata, il cartello che annuncia la prossima partita della squadra. Onestamente mi aspettavo qualcosa di più modesto, ma scopro che è il centro sportivo per tutti gli sport praticati dalla polizia metropolitana. Entro in una specie di reception, con una porta che si apre con la fotocellula. Non sembra proprio di essere in non-League.
Ho in mano la mia macchina fotografica e quando entro si fermano tutti e mi guardano perplessi. Dalla perplessità si passa alla sorpresa quando gli dico che sono lì perché vorrei visitare il campo della squadra di calcio. Un signore fra il divertito e l’incredulo, decide di accompagnarmi.
Mentre camminiamo quello che sembra essere a tutti gli effetti un grande e curato centro sportivo, facciamo le solite chiacchiere di rito. Il mio accompagnatore scopre con piacere che sono italiano e mi racconta di qualche suo viaggio, in particolare uno vicino a Roma, per un matrimonio l’estate appena trascorsa.
Quando arriviamo al pitch, resto davvero colpito per l’impianto. Un manto praticamente perfetto, delle tribune molto curate. Il signore mi spiega che anche quest’anno il campionato non sta andando benissimo, ma sperano di salvarsi e che questo campo viene spesso utilizzato anche da squadre di categoria superiore per amichevoli e allenamenti.
Mi chiede poi come mai sono venuto a vedere uno stadio così particolare e mi racconta che vorrebbe venire a Roma a vedere il derby. Dice che per i colori simpatizza Lazio. Lo ringrazio per avermi accompagnato e lo saluto. Mi aspetta un lungo viaggio fino a Tolworth, destinazione il Campo di Re Giorgio, casa del Corinthian-Casuals Fc.
Il problema principale quando ti muovi con i mezzi è che spesso ti lasciano al centro della cittadina e poi devi essere tu a trovare lo stadio, che spesso è nascosto o raggiungibile solo rischiando la vita sullo stretto marciapiede di una strada a percorrenza veloce. Diciamo che l’amministrazione che governa Tolworth ha pensato a noi pedoni avventurosi, dedicandoci aree pedonali e marciapiedi, ma l’impegno non è stato coronato da un grande successo.
Morale della favola, dopo aver camminato per buoni cinquecento metri con le macchine che mi sfrecciano accanto a meno di un metro e mezzo, inizio a sentire l’odore del ground. Il navigatore mi segnala che manca poco. Mi trovo sulla sinistra una stradina stretta stretta, con un tunnel alla fine e la promessa che dietro, alla fine, verso la luce, ci sarà l’impianto del Corinthian-Casuals. Mi sembra una follia, ma ormai sono arrivato fin qua. Mentre cammino capisco che se qualcuno volesse assalirmi adesso sarei perduto. C’è un forte cattivo odore e allungo il passo verso la luce. Mi si apre uno sterminato prato verde, con alcune porte messe a coppie a disegnare almeno tre campetti. Sulla destra vedo le bandiere e l’ingresso dello stadio. Saranno centocinquanta metri. Ma sono tutti di fango. Mi convinco che non può essere l’unica via e ritorno indietro al punto di partenza, prima del tunnel. Effettivamente il mio navigatore aveva scelto la strada più breve, ma rischiava di farmi rimanere impantanato. Poco più avanti c’è la strada vera e propria e finalmente arrivo al campo.
Sarà la storia, sarà che è stata la prima squadra che ho visto in una partita di non-league, saranno le mitiche maglie, ma sono più emozionato del solito. Il Corinthian-Casuals più che una squadra è uno scrigno di aneddoti. La camiseta blanca del Real Madrid fu un omaggio ai mitici Corinthian di inizio secolo. La squadra non poteva giocare contro le squadre di FA, le era stato vietato, quindi girava il mondo per esportare il calcio. Fu vedendo giocare i ragazzi in maglia bianca, che i fondatori del Corinthians Paulista scelsero quel nome. Del resto gli inglesi in tournée non persero una partita e si presero anche la libertà di sconfiggere la nazionale brasiliana. Nel 2004 proprio su questo terreno di gioco arrivò niente di meno del Manchester United. Perché? Voleva vendicare a cento anni di distanza la più pesante sconfitta della sua storia. Erano altri tempi e Red Devils furono sconfitti per 11-3. In quegli anni la squadra in bianco prestava gran parte dei suoi giocatori alla stessa Inghilterra e sconfiggeva con risultati roboanti le migliori formazioni della Football Association. Quando in Manchester United scese di nuovo a Londra in cerca della sua vendetta sportiva, ci riuscì ma solo in parte. La gara terminò 3-1 per la squadra in rosso, ma il clamoroso parziale dell’”andata” non fu mai vendicato.
Lo stadio sembra uscito da un libro di foto della non-League. Pozze a terra, container per i biglietti e i programmi e più in là lo spogliatoio. Inizio a scattare qualche foto e noto come tutto è curato nei più piccoli particolari. Dai cartelli sulle tribune (che offrono delle panche imbottite che neanche nelle migliori chiese), alle bandierine con i colori della società. Mentre scatto, mi nota un signore che sta rimettendo a posto le reti della porta. Sembra una specie di custode e insieme con un collega mi guidano ad un mini tour improvvisato. Quello più anziano è molto alto, capelli bianchi, pochissimi denti in bocca e cravatta del club sotto una pettorina giallo fosforescente. L’altro è più basso e taciturno, ha la barba bianca e folta, ma ha lo stesso abbigliamento, poco adatto a chi fa il lavoro di custode.
In primis mi fanno visitare gli spogliatoi. Sono molto simili a quelli che potete trovare in un qualsiasi campo della provincia italiana. Al muro però ci sono attaccate delle frasi per motivare i giocatori e l’immancabile lavagna, con gli schemi. Il museo è la seconda tappa. In realtà è un altro piccolo container, ma dentro c’è di tutto. Gagliardetti delle società più antiche e prestigiose, biglietti e foto d’epoca e l’immancabile bandiera nera e bianca del Corinthians Paulista. Mi regalano il programma di una partita disputata a Wembley, fra il Corinthian-Casuals e l’Afc Wimbledon, e mi fanno firmare il quadernone degli ospiti.
Mentre sto per uscire il più anziano dei due, mi chiede se voglio acquistare la mitica casacca pink and chocolate. Non me lo faccio ripetere due volte: da parecchio aspettavo l’occasione. Nonostante i trenta pound e il fatto che debba tornare in centro al Tolworth per prelavare, visto che non ho contante, non mi faccio scappare una maglia così storica. Addirittura fu indossata da Socrates in un’amichevole in terra brasiliana, disputata durante una recente tournée (1988) della squadra inglese.
La giornata inizia a farsi sentire. Le gambe sono pesanti e c’è solo il tempo di uno spuntino veloce prima di ripartire. Dovrei tornare a casa, ma prima devo incontrare un amico. Un altro italiano, appassionato come me di calcio inglese. Grande Podcaster e tifoso del Chelsea, è arrivato da poco per vedere la sua squadra contro lo Schalke 04 a Stamford Bridge. Da Tolworth a Fulham Broadway non è proprio una passeggiata: prendo al volo un 265 e arrivo fino a Putney Bridge, ad un passo dalla casa del Fulham. Da lì metro fino a quella del Chelsea. Quando scendo la situazione sembra quella della canzone-inno “Blue is the color”, rafforzata dai tifosi tedeschi che vestono lo stesso colore. Mi incontro con Marco e suo padre, praticamente per caso e decidiamo subito per una birra.
Stiamo per entrare e ci chiedono il biglietto. Fatichiamo un po’ a spiegargli che io non ce l’ho ma sono solo venuto a salutare questi due amici. Scopriamo che è un pub “home supporter only” e che le precedenti misure, erano solo per evitare eventuali tensioni davanti ad una pinta, fra tifoserie avversarie. Birra e sidro vanno giù che è una meraviglia ed è tempo di andare: decidiamo di fare due passi fin sotto lo stadio e salutarci là, dopo una foto di rito sotto la statua del re di Stamford Bridge, Peter Osgood.
Mentre mi ritorno da solo verso la metro mi imbatto in un bel gruppo di tifosi tedeschi che cantano e battono le mani facendo tremare tutto. Hanno anche acceso un fumogeno. Sono passato dalla calma della non-league, dalle pozze d’acqua di Molesey, alle emozioni della Champions League. This is football.
Alisa Chshmarityan:Spasibo bolshoye peyvstaditelru Loriyskoy oblasti v Belorussii Saaku Antanesyanu za podderjku i tyepliy ptiyem v Minske.Tak je xochu poblagodarit vitebskix armyan, kotorie dali nam pochuvstvovat,chto za nami Rodina!!!