Per continuare il nostro viaggio nelle professioni legate al calcio, in particolare quello britannico, abbiamo intervistato Danilo Stavola, napoletano, 26 anni e già un ottimo curriculum nel mondo del football. Abbiamo cercato di raccontarvi che cosa vuol dire essere uno scout, e cosa comporta intraprendere questo tipo di avventura. Buona lettura.
In che cosa consiste il tuo lavoro?
Io mi occupo di Scouting per l’Academy dello Swansea City in Italia, quindi calciatori under 21 e soprattutto dai 15 ai 18/19 anni in base alle indicazioni tecnico tattiche e soprattutto economiche del direttore Evans. Inoltre mi piace e inorgoglisce poter esprimere il mio parere su calciatori del nostro campionato quando mi viene richiesto da Garry Monk.
Come sei finito in Galles?
Tutto nacque un anno e mezzo fa ormai in concomitanza con la visita dei gallesi a Napoli per il mattch di Europa League. Ci fu un primo contatto via mail e poi un incontro molto proficuo in hotel la mattina del match. Da li in poi è iniziata questa splendida avventura.
Che ricordo hai di Swansea come città?
Swansea è una bella e tranquilla cittadina dai tratti tipicamente gallesi. Stupenda la “Swansea Bay” ossia il tratto costiero caratterizzato da un panorama mozzafiato. Ho incontrato anche qualche italiano trasferitosi lì per aprire nuove attività, soprattutto ristorative, beneficiando del favorevole regime fiscale gallese.
E dal punto di vista lavorativo? Come ti sei trovato?
Benissimo! Sin dal primo approccio con Pep Clotet (collaboratore di Monk) e poi con il mister ho ravvisato una professionalità che difficilmente trovo in Italia. Mi hanno ascoltato, abbiamo ragionato insieme sul mio progetto, mi hanno dedicato 2 ore e mezza del loro tempo nella mattina del più importante match della storia dello Swansea quale era quello contro il Napoli. Straordinari!
Ti senti di consigliare il tuo percorso lavorativo ad altri ragazzi?
Beh, dipende. Io ho intrapreso questa strada da profondo conoscitore del calcio britannico e delle dinamiche inglesi ma soprattutto da amante totale del british lifestyle. Si tratta di paesi non propriamente dietro l’angolo. E’ essenziale una buona conoscenza della lingua inglese e soprattutto la propensione, qualora dovesse essere necessario, a trasferirsi lì in pianta stabile. E di certo cibo e soprattutto clima non sono paragonabili a quelli a cui siamo abituati in Italia: per cui ti direi che dipende dalle priorità che ognuno ha.
Cosa ti è piaciuto calcisticamente del Regno Unito? Hai notato molte differenze?
Calcisticamente vi sono molte, troppe differenze con il nostro calcio. Dal punto di vista tecnico mi soffermerei soprattutto sulle metodogie di allenamento e sull’intensità che caratterizza il ritmo dei match rendendoli più gradevoli e combattuti. Poi c’è l’aspetto economico che vede la Premier League essere un campionato ricchissimo, grazie soprattutto ai ricavi tv che però non piovono dal cielo ma sono la conseguenza di uno spettacolo di altissimo livello che viene offerto agli utenti grazie anche a strutture all’avanguardia e a un’atmosfera assolutamente unica al mondo. Ma non solo la Premier League può essere considerata ricca se pensiamo che non è difficile trovare in Championship calciatori che ricevono stipendi vicini al milione di euro. E’ tutta una catena che parte però sempre dalla base: l’amore smisurato degli inglesi per il football e il legame viscerale che ogni comunità ha con il proprio club di appartenenza.