Here for the Orient…

Leyton Orient ArsenalVicino alla fermata della metropolitana della Central Line una sequela di manifesti annunciano un nascente centro commerciale, mentre poco più avanti caseggiati di edilizia popolare degli anni settanta incorniciano strade severe e vagamente decadenti dove spuntano discount, fast-food e takeaway indiani. Paesaggio urbano frammentato. Umanità varia. Le divise da lavoro sotto giacconi pesanti, pantaloni sporchi di vernice e fango, oppure completi eleganti e cellulari di rito. File di linde casette a schiera per lo più con tre stanze, qualcuna del tardo periodo vittoriano, abitate da comunità di svariate etnie. Abissi popolari dello sterminato East End londinese. Il Canary Wharf, che ammicca in lontananza con i suoi lucenti grattacieli e migliaia di nuovi posti di lavoro di prestigio, ha forse risollevato l’economia londinese ma non è riuscito a ricucire il fragile tessuto spaziale e sociale di questa zona.Leyton. Quartiere di Waltham Forest. Dove si calpesta una Londra reale e dove se siete alla ricerca di un affitto a prezzo modesto potreste realizzare un buon affare, non prima però di aver controllato alloggio e via. Una zona dal passato decisamente povero fatto di mescolanze etniche contrastanti, culture alternative ed esperimenti musicali. Come quello del poeta giamaicano Oku Onuora che nel 1978 coniò il termine “dub Poetry” per identificare lo stile unico che coniugava la poesia del suo paese al ritmo reggae.

E forse chissà se l’8 aprile di quell’anno sulle gradinate di Stamford Bridge fra le genti colorate e pittoresche che avevano accompagnato l’Orient alla sua prima semifinale di FA Cup si cantasse anche “Dread beat an’ blood” . Quel giorno grigiastro di un anonima primavera inglese c’erano 49698 spettatori alla sfida fra gli O’s e i favoriti d’obbligo dell’Arsenal, guidato in panchina da Terry Neill. Quel pomeriggio il capitano dell’Orient era Phil Hoadley alla sua ultima stagione con la splendida maglia rossa dalle bretelle bianche ai lati e le due leggendarie viverne, o dragoni, custodi del Tamigi in mezzo. Aveva giocato più di 250 partite segnando solo nove reti, ma da un difensore centrale dall’aspetto composto e lo sguardo fiero di una squadra che navigava nelle perigliose acque della seconda divisione, era normale attendersi maggiormente più un eroica difesa del fortino che non un assalto all’arma bianca nell’area avversaria.

leyton orientHoadley era nato a Battersea nel cuore della capitale, e quel pomeriggio per quella semifinale tutta londinese, all’uscita degli spogliatoi entrò in campo accompagnato da i Cockney Pearly King & Queen, una sorta di mascotte cittadina, a simboleggiare le due squadre della capitale che si sarebbero sfidate per andarsi a giocare la finale a Wembley. Quell’Orient che ancora non si chiamava Leyton e non più Clapton come nel 1898, fece innamorare e palpitare tanta gente nella sua avventura di coppa pilotato da Jimmy Bloomfield, altro londinese nativo di Notting Hill, che era tornato l’anno precedente a Brisbane Road dopo una parentesi di sei anni alla guida del Leicester City.

Il sorteggio per le semifinali fu trasmesso in diretta TV e anche se a quel punto del torneo non ci si può certo aspettare grossi aiuti dalla dea fortuna, l’esclamazione spontanea del centrocampista Tony Grealish fu senza dubbio esplicativa:

“Maledizione”.
Corretta qualche attimo dopo da un più diplomatico:
“Ok non importa contro chi giochiamo, alla fine non temiamo nessuno”.

Certo dall’urna potevano anche uscire i meno nobili nomi di Ipswich Town e soprattutto WBA, ma d’altra parte se si guarda al fascino della sfida, quella contro i gunners regalava brividi e stimoli sicuramente superiori. Per la fiera dei personaggi londinesi anche Grealish, baffo curato e capelli da moschettiere, aveva avuto natali in zona, più precisamente a Paddington, anche se sceglierà per i soliti appigli parentali la nazionale della Repubblica d’Irlanda.

“Io personalmente non riuscii a dormire molto nella settimana che precedette l’evento” – disse ancora Grealish – “Avevamo fatto una cavalcata incredibile e ora c’era un attenzione e una pressione enorme nei nostri confronti, e poi andare a giocare una semifinale a Stamford Bridge di fronte a quel pubblico era certo ben diverso che presentarsi un sabato pomeriggio a Rotherham davanti a gente che ti mangia fish&chips in faccia”.

Se vogliamo fare un passo indietro nella storia di questo club senza perderci troppo nelle nebbie della fondazione e degli spostamenti logistici va comunque ricordato che le prime tracce del Leyton Orient risalgono al 1881 quando i membri del Glyn Cricket Club formarono una squadra di calcio con lo scopo ormai consolidato in Inghilterra di mantenersi in discreta forma nei mesi invernali. Se si prende per buona questa data di fondazione va dato atto di un origine piuttosto antica che si pone a soli due anni di distanza dalla nascita del Fulham e quindi si può parlare con buona certezza del secondo club più vecchio della capitale. Sette anni dopo su suggerimento di un giocatore che lavorava nella compagnia di navigazione “Orient Schipping”, il sodalizio prese il nome di Orient che era simpaticamente appropriato con il loro quartiere collocato come detto in apertura nell’est cittadino. I nomi della squadra variarono da Eagle Cricket Club nel 1886 per poi passare appunto a Orient Football Club nel 1888. Nel 1898 nel tentativo di guadagnarsi le simpatie locali arriva la furbesca denominazione in Clapton Orient. Questo fino al 1937 quando si spostarono nella loro attuale sede del Brisbane Road a Leyton, ma è solo dopo la seconda guerra mondiale che divenne Leyton Orient.

Orient Kitchen

Peter Kitchen

Anzi solo Orient. Una guerra che fra l’altro in quella zona di Londra aveva veramente lasciato il segno in quanto teatro di violenti bombardamenti tedeschi. Da squadra di seconda divisione l’Orient entra in scena nel terzo turno il 6 di gennaio in casa contro il Norwich City. I canarini imporranno il pareggio e torneranno nel Norfolk con il chiaro intento di giocarsela con buone chance di qualificazione a Carrow Road. Ma qui entra in scena quello che senza alcun dubbio è stato il personaggio chiave nell’avventura di questa coppa per gli O’s, ovvero Peter Kitchen. Chioma ribelle e baffo proletario. Nell’estate del 1977 passa dal Doncaster Rovers a Leyton per 40000 sterline. In quella stagione, la prima delle due a Brisbane Road siglerà 21 reti in campionato e 7 in FA Cup. Il primo di questi ultimi lo firma proprio a Norwich infilandosi fra le maglie della difesa dei gialloverdi su un cross proveniente dalla destra e toccando quel tanto che basta per l’1-0 finale dei suoi. A fine mese la sorte accoppia l’Orient al Blackburn Rovers. Il 28 gennaio fra le mura amiche la squadra di Bloomfield vincerà 3-1 con Kitchen ancora sugli scudi. La vera impresa però sarà quella successiva, infatti il quinto turno mette di fronte il Chelsea ai ragazzi in maglia biancorossa. Dopo il pari a reti inviolate del Brisbane Road si va al replay di Stamford Bridge, dove il sogno degli O’s sembra abbia notevoli possibilità di essere interrotto. Possibilità che incominciano a diventare certezze quando un pasticcio difensivo sull’out di sinistra del terzino Bill Roffey, quello che nel 1974 segnò un goal strepitoso al Fulham, permise a Walker di battere con un pallonetto il portiere John Jackson. Ma Kitchen è in serata di grazia, il fascino della platea lo aiuta. Dapprima entra in area di rigore saltando in serpentina tre difensori avversari e infila alle spalle di un incredulo Peter Bonetti la rete del pareggio, poi sull’onda dell’entusiasmo arpiona un cross di Joe Mayo deviandolo in fondo alle capienti porte del “bridge” per il 2-1.

L’Orient guadagna i titoli dei giornali e il quinto turno da giocarsi nel freddo marzo del nord inglese all’Ayresome park di Middlesbrough. Finirà 0-0 e nella ripetizione di tre giorni dopo ancora un fantastico goal di Kitchen sotto l’incrocio dei pali e un tiro da fuori di Mayo faranno approdare l’Orient alla storica semifinale. Una gloria pareggiata e forse superata solo da quella della stagione 1961/62 quando l’Orient di Johnny Carey viene promosso alla First Division, dopo essere arrivato secondo dietro al Liverpool di Shankly alle prese con le prove generali per diventare grande. In ogni caso l’8 di aprile del 1978 Arsenal e Orient si affrontano per la prima volta dal dopoguerra. Chi vince se la sarebbe giocata con l’Ipswich di Bobby Robson che nel frattempo a Highbury aveva regolato il WBA per 3-1 grazie alle reti di Talbot, Mills e John Wark.

La formazione dell’Arsenal quel giorno in maglia gialla su pantaloncini blu, andrebbe snocciolata a memoria e i cultori di questo club sicuramente se la ricorderanno bene. Jennings, Rice, Nelson, Price, O’Leary, Young, Brady, Sunderland, MacDonald, Stapleton, Hudson. Sarà stata l’emozione, sarà stato che quell’Arsenal era davvero troppo forte anche per i coraggiosi ragazzi di Bloomfield, ma la partita non ebbe troppa storia ma solo qualche recriminazione. Dopo appena un quarto d’ora “SuperMac” aveva già colpito due volte, poi Graham Rix che nella finale partì dalla panchina, chiuse l’incontro. E chiuse anche l’avventura di quelli del Brisbane Road, che oggi chiuso agli angoli da quattro condomini si chiama Matchroom Stadium, ma io personalmente nel mio squilibrio nostalgico, ho molta difficoltà a chiamarlo così…

Simone Galeotti